Il compenso deve essere equo?

DiGiancarlo Renzetti

Il compenso deve essere equo?

Solo se è in denaro, altrimenti può essere sostituito da due righe da aggiungere al curriculum.

l Tar del Lazio Sez. II con la Sentenza 11410/2019   ha respinto il ricorso 3632 del 2019, proposto da Ordine degli Avvocati di Roma ed Ordine degli Avvocati di Napoli, contro il Ministero dell’Economia e delle Finanze, per l’annullamento dell’avviso pubblico del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 27.2.19, di manifestazione di interesse per il conferimento di incarichi di  consulenza a titolo gratuito.

I ricorrenti contestavano al MEF  di voler acquisire servizi di consulenza da parte di professionisti dotati di “consolidata e qualificata esperienza accademica e/o professionale” senza esborsi ed oneri a carico dell’Amministrazione.

Chiedere al  professionista di sottoscrivere e dunque accettare condizioni lontane da una retribuzione o da un equo compenso, comporterebbe per il medesimo, allatto della sottoscrizione, la violazione degli artt. 9, 19, 25 e 29 del Codice Deontologico vigente.

Il diritto all’equo compenso nello svolgimento di incarichi, anche nei confronti della Pubblica Amministrazione, sarebbe, infatti, garantito sia dalla Costituzione, che tutela il diritto del professionista “ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro” (art. 36), sia dalla legge, che correla la retribuzione professionale al “contenuto e alle caratteristiche della prestazione legale” (art. 13 bis, co. 2, L. 247/12).

La previsione della gratuità dell’incarico contenuta nell’avviso, per i ricorrenti, violerebbe la normativa costituzionale e legislativa anche sotto il profilo del buon andamento dell’organizzazione amministrativa e della ragionevolezza dell’operato della P.A..

Per il Tribunale la disciplina dell’equo compenso non è ostativa a tale richiesta della P.A.  Essa deve, infatti, intendersi nel senso che, laddove il compenso in denaro sia stabilito, esso non possa che essere equo.

Tuttavia, nulla impedisce, al professionista, senza incorrere in alcuna violazione, neppure del Codice deontologico, di prestare la propria consulenza, senza pretendere ed ottenere alcun corrispettivo in denaro.

Lo stesso può trarre vantaggi di natura diversa, in termini di arricchimento professionale legato alla partecipazione ad eventuali tavoli, allo studio di particolari problematiche ed altro, nonché quale possibilità di far valere tutto ciò all’interno del proprio curriculum vitae.

La strada per ottenere il riconoscimento dell’equo compenso, alla luce di tale sentenza, appare  ancora lunga.

I ricorrenti hanno preannunciato ricorso al Consiglio di Stato, sollecitando nel contempo un intervento del Ministro della Giustizia.

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